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Le trasformazioni nell’adolescenza

Dott.ssa Samantha Vitali, psicologa – psicoterapeuta – mental trainer

Laureata in Psicologia Clinica, si specializza in Psicoterapia e Tecniche Conversazionali ad indirizzo Psicodinamico, consegue Master Gestione delle Risorse Umane e negli ultimi anni frequenta il master Psicosport, di cui diventa Docente.
Nel 2009 inizia a collaborare con l’ente di Formazione Cornucopia (BS), accreditato presso Regione Lombardia per Formazione continua e servizi al Lavoro.
Nel 2012 apre il suo Studio Professionale dove vede i pazienti privatamente e inizia a collaborare con l’A.U.S.L di Parma, per servizi dedicati ai giovani ed in particolare all’adolescenza.
Dal 2017 partecipa alla promozione del Benessere Psicologico nelle sedi della Lidap (Lega Italiana Attacchi di Panico) sui temi di ansia, depressione e stress.
Nel 2020 avvia la collaborazione con il Master Maps (MI) e dal 2021 con la Lidap su progetti destinati a migliorare la condizione dei giovani adolescenti in epoca Covid.
Attualmente impegnata in progetti di divulgazione e sensibilizzazione a tema psicologico, rivolti ai giovani attraverso piattaforme social e multimediali.

 

Adolescenza. Che cos’è?

L’adolescenza è quel periodo dello sviluppo, compreso tra i dieci-dodici anni e i vent’anni, nel quale assistiamo a una trasformazione su vari livelli e durante il quale assumiamo competenze sociali, acquisiamo competenze relazionali, vediamo cambiamenti fisiologici. Tutto questo termina al compimento di alcune autonomie che finalmente vengono raggiunte.

 

Le tre fasi dell’adolescenza

L’adolescenza si divide, di fatto, in tre fasi: preadolescenza, adolescenza e giovane età adulta.
Nella preadolescenza abbiamo un primo inizio di distaccamento dalla famiglia, pertanto emerge il gruppo dei pari e iniziano i primi scontri e ansie, insieme anche ai primi malumori. C’è una sempre maggiore ricerca di una nuova identità, attraverso gli scontri che avvengono in famiglia.
Nella seconda fase, chiamata appunto l’adolescenza, che va dai quattordici ai vent’anni, iniziano delle vere e proprie trasformazioni nel mondo relazionale: si scopre la sessualità, il gruppo dei pari diventa sempre più importante e cominciano anche tutti quei comportamenti un po’ sovversivi e esplorativi tanto importanti. Nella terza fase, quella che viene chiamata tarda adolescenza o giovane età adulta, che va dai venti ai ventiquattro anni, abbiamo invece preoccupazioni relative all’inserimento nella società, l’indipendenza anche economica dalla famiglia. Ed è in quest’ultima fase che riparte un po’ quel dialogo, che si era interrotto, con la famiglia.

 

Nuove emozioni e cambiamenti

I mutamenti fisiologici in questa fase sono i veri e propri protagonisti di tutto quello che accade, infatti, i ragazzi, sperimentano delle emozioni completamente nuove, molto perturbanti, soprattutto quelle negative (rabbia, tristezza, disperazione), perché in realtà questi mutamenti fisiologici, che poi vedremo nel dettaglio, portano veramente a un’alterazione della percezione del sé. Pertanto anche tutto quello che era il “mio mondo” prima, diventa totalmente diverso, perché banalmente mi relazionavo agli altri da bambino, ma adesso mi ci relaziono da ragazzo o da ragazza, e dunque tutto cambia: il mondo attorno a me e dentro di me.
Questi cambiamenti avvengono sul piano ormonale e naturalmente producono anche un senso di inadeguatezza, perché tutto quello che viene sperimentato è completamente nuovo, pertanto la timidezza, emozioni come la ricerca dell’approvazione, emergono molto più forti in questa fase.

 

Impulsività e razionalità

Le neuroscienze ci spiegano come la parte dei lobi frontali, che è quella deputata al ragionamento, al pensiero critico, alla razionalità, in realtà matura molto dopo la parte che processa le emozioni.
Pertanto, abbiamo un modo molto forte di processare le emozioni, e uno scarso ragionamento per riuscire a controllare quegli impulsi che da esse derivano. Questo significa, che in questa fase così perturbante, non hanno nemmeno quel principio di razionalità che possa aiutarli e guidarli. Da questo passaggio, chiaramente, capite quanto la caratteristica dell’impulsività di quell’età, deriva proprio da questo sfalsamento delle cortecce che non sono ancora perfettamente maturate, pertanto ci sono molti impulsi, ma poca razionalità per frenarli.

 

Le conseguenze dei cambiamenti

Tutti questi mutamenti fisiologici, che cosa producono, di fatto, a livello psicologico nei ragazzi?
Vediamo una prima fase di totale disarmonia corporea, ma anche psicologica, proprio per questa ricerca costante di essere in equilibrio con queste due parti in mutamento, che poi però, di fatto, si rivelano essere anche parti fisiche. Pertanto quello che io vedevo prima riflesso nello specchio, oggi non esiste più, oggi cambia, e magari questo cambiamento non mi piace. Da qui vediamo il desiderio di accettazione negli altri e una marcata sensibilità rispetto al rifiuto, naturalmente.
Il confronto con gli altri, dunque, diventa un importante modo di rassicurazione perché, di fatto, io mi confronto con coloro che sono simili a me, dunque gli altri diventano degli specchi per accettare, o meglio definire, la mia nuova identità. Inoltre, vediamo una fortissima reattività rispetto alle emozioni negative percepite, tipo la rabbia, quelle per la lotta, l’aggressività, tutto questo è molto più forte perché banalmente si alza il livello di frustrazione.

 

Quindi, di fatto, che cos’è tutto questo viaggio psicologico nel cambiamento? Che cosa produce?

Produce la necessità di esplorare. L’adolescenza è quel grande laboratorio di esplorazione dove, attraverso le tante esperienze, i tanti contatti con gli altri che siano in amicizia, nell’amore, ma anche nel lavoro, diventano tutti modi per definire meglio la mia identità e poi procedere verso la mia autonomia.

 

L’importanza della trasgressione. E delle regole…

Dunque, come fare con questi figli che in questa fase cambiano tanto e mettono costantemente in discussione l’autorità dei genitori? Ma soprattutto perché lo fanno? Dobbiamo sapere che per diventare grandi, quindi diventare soggetti, dobbiamo creare quello che viene chiamato un processo di soggettivazione e individuazione, per svicolarci da tutto ciò che c’era prima. E tutto questo si può realizzare soltanto grazie, di fatto, a un processo di trasgressione e per questo c’è questa grande messa in discussione dell’autorità che tanto genitori quanto insegnanti patiscono, ma d’altra parte è una tappa evolutiva fondamentale, non sarebbe possibile crescere senza operare questo tipo di trasformazione attraverso la trasgressione.
La necessità di rompere con tutto quello che c’è stato prima deriva dalla necessità di diventare qualcosa di molto diverso da tutto ciò che c’era prima. E io, ragazzo che cresco, come faccio a costruirmi la mia personalità? La costruisco attraverso l’interiorizzazione dei modelli, attraverso il confronto col mio contesto e magari anche rispetto al mio bagaglio genetico. Ecco, tutto questo mix è il nuovo che avanza e non potrà mai essere uguale a quello che c’era prima. Il figlio ha necessità di continuare a dire questi “no” per trasgredire e andare laddove è destinato a diventare un qualcosa totalmente inedito e diverso da prima, altrimenti probabilmente, saremmo uguali ai nostri progenitori che abitavano nelle caverne.
Per trasgredire sappiamo che il ragazzo ha bisogno di dire no, costantemente. E quindi dice di no alle nostre regole, pertanto è giusto o sbagliato continuare a darle? Le regole sono fondamentali perché per essere interiorizzate hanno bisogno di esserci, per poi magari essere anche trasgredite. E quel ragazzo che torna alle quattro di notte, quando gli è stato detto di tornare all’una, in realtà, prima di trasgredire quella regola, la interiorizza. Quindi, è fondamentale continuare a dargliele, certo devono essere flessibili, devono essere in sintonia col tipo di età che hanno in quel momento, ma ci devono sempre essere.

 

Amici dei figli, sì o no?

Mai diventare amici dei propri figli. Qua lo so che tocco un tema difficile, però questa è la verità: è un po’ come giocare a guardie e ladri, ognuno deve stare al suo posto. Se quel ragazzo non ha un’autorità con la quale scontrarsi, come fa a compiere quella tappa evolutiva così importante? Come fa a scontrarsi? Lui ha bisogno dello scontro. Non solo, diventare amici dei propri figli non va bene perché banalmente di amici ne hanno già. Ne hanno anche tantissimi, che sono probabilmente più in linea con loro di quanto lo saremmo mai noi. Hanno bisogno di genitori, autorevoli possibilmente, che continuino a segnare una riga, a ribadire che c’è una regola, un’autorità da dover rispettare. C’è un confronto, ma anche uno scontro, attraverso il quale nasce la possibilità di crescere e di diventare grandi.

 

Lo scontro per lo scontro

Dunque, come facciamo da genitori, a rimanere nello scontro e a gestire al meglio il conflitto senza sfociare a volte in quelle scene così difficili e in frasi brutte che neanche noi vorremmo dire, magari svilenti, umilianti rispetto a quel figlio che, invece al contrario, vogliamo aiutare a crescere?
Dobbiamo tener presente che in questa fase il motivo dello scontro è lo scontro per lo scontro, dunque non ci sono reali motivi sottostanti, dunque è fondamentale imparare a gestirlo.

 

Come comportarsi durante lo scontro con i figli

In questi momenti di scontro è molto importante non usare brutte parole, frasi svilenti verso l’altro, questo perché in questa fase dell’età, tutto quello che noi diciamo ai nostri ragazzi va a costruire l’immagine che loro hanno di se stessi. Pertanto se uso una frase umiliante, quel ragazzo automaticamente se la appiccicherà addosso e tenderà a un processo di coerenza, per cui tenderà a riprodurre quel tipo di comportamento aderente all’immagine del sé che gli abbiamo restituito. Intendo dire, se a mio figlio durante una discussione do dell’incapace, di fatto, lui interiorizzerà questa mia parola, la farà sua, e tenderà a comportarsi in modo aderente a quell’immagine del sé. Dunque, come posso procedere in questa tecnica assertiva?
Primo punto: faccio capire all’altro che ho compreso il suo punto di vista, il suo bisogno e lo sto ascoltando.
Attenzione, devo farlo davvero, non può essere una messa in scena perché se no poi il figlio lo capisce perfettamente, quindi mi metto nei suoi panni, magari anche ricordando quando io ero adolescente.
Secondo punto: spiego il mio punto di vista e le mie ragioni. In questa fase può anche esserci un rimprovero, e non abbiamo paura di farlo, nel momento in cui io vado a spiegare le ragioni per cui non va bene fare questo o è meglio fare quell’altro, perché il ragazzo in realtà, in tutto quel tempo che gli sto dedicando anche in una sorta di “sgridata”, sente che quel tempo io l’ho impiegato per lui. Tutti quelli che hanno dei problemi e si vanno a infilare nelle baby gang, non hanno genitori che li affiancano o che li sgridano, non hanno genitori che perdono il loro tempo per spiegare loro quali comportamenti è meglio adottare e quali no. Quindi non abbiate paura in quel momento, perché lo stiamo facendo per loro e di questo, loro, ci saranno molto grati.
Terzo punto: proponiamo una terza via, cioè un compromesso che possa andare bene per entrambe le parti. Questo cosa significa? Se io ho capito davvero quello che tu mi stai dicendo, se veramente mi sono messo nei tuoi panni e quindi ho capito il tuo bisogno, anche di dire di “no”, io non posso soltanto censurare un comportamento, ma devo anche proporre un’alternativa. Un’alternativa che possa essere socialmente accettabile, in linea con l’età di quel ragazzo, e che però in qualche modo possa dargli la sensazione di una conquistata, se pur minima, autonomia.
Facciamo un esempio: il figlio quattordicenne che chiede insistentemente il motorino e magari il genitore non è d’accordo, perché vuole aspettare ancora del tempo, perché magari ha paura di questi mezzi che vanno più veloci di quanto dovrebbero. Come possiamo fare? Inizialmente ti spiego che ho capito che hai bisogno di più libertà, più autonomia, lo capisco perché sono stata giovane anch’io, pertanto non mi sembra così assurda questa richiesta. Successivamente, gli spiego il perché delle mie perplessità, posso sempre raccontargli alcuni fatti di cronaca che purtroppo vedono coinvolti i giovani in incidenti di questo tipo, posso spiegargli che magari non sarà per sempre un “no”, ma al momento lo vediamo ancora troppo piccolo. Infine, gli propongo una soluzione di compromesso, può essere una bicicletta elettrica, andare insieme con un monopattino, insegnargli le vie che può fare, posso dargli autonomia in altro modo, diciamo quel compromesso dovrà comprendere proprio questo, soddisfare in parte il bisogno di autonomia del ragazzo e venire incontro a quelle preoccupazioni, più che naturali, dei genitori.

 

Suggestione conclusiva

Per finire, vi vorrei lasciare con una suggestione data da quello che diceva Wilfred Ruprecht Bion rispetto alle risorse che noi possiamo passare ai nostri figli, cioè questa gestione nuova dei conflitti, che non sono soltanto il mandarsi a quel paese, ma sono l’incontrare l’altro, il cercare una terza via. Tutti questi strumenti che noi facciamo nostri, in realtà li stiamo, di fatto, già donando ai nostri figli, che appunto interiorizzando quei modelli, metteranno dentro anche queste nuove risorse, quindi quello che diceva Bion è proprio questo: “Diamo ai nostri figli la parte di noi edulcorata, magari, dalle parti peggiori, ma al contrario facendo crescere le risorse, la parte migliore di noi”.
Spero che queste suggestioni possano esservi utili nello scontro che vi attende con i vostri figli adolescenti, preadolescenti e giovani adulti.

Bibliografia:

Mancini T. (2010) La costruzione dell’identità, Il Mulino
Pellai A. and Tamborini B. (2017) L’età dello tsunami, Deagostini
Oliverio Ferraris A. (2019) Sopravvivere con un adolescente in casa. Comprendere e aiutare i nostri figli nella più difficile delle età, Rizzoli